Diego Tortelli: “La mia danza è come il gioco del TETRIS”
Una danza di incastri e frammenti, costruita su astrazioni geometriche e poetiche emotive. È questo il lavoro di Diego Tortelli, bresciano di nascita, formazione accademica d’eccellenza tra Roma e Milano, oggi coreografo internazionale e vincitore del primo bando per artisti italiani lanciato dalla Biennale Danza 2021 per la realizzazione di un progetto coreografico inedito e originale. Cittadino del mondo, mantiene, in realtà, un saldo legame con Reggio Emilia, capitale della danza emiliana.
Lo incontriamo proprio qui, a poche ore dal debutto, il 27 aprile della sua nuova creazione Shoot me al Teatro Valli di Reggio Emilia per parlare con lui della sua danza.
Diego, nel 2021 hai vinto la Biennale, Sezione Danza, presentando Fo:No. Qual è stata la genesi della tua ricerca?
Fo:No è una traduzione fonetica attraverso il corpo. È un lavoro che affronta i territori della biofisica, la relazione tra apparato vocale, corpo, identità. Frutto di un’esperienza personale, indaga come il suono vocale possa modificare il linguaggio del corpo, determinando anche la nostra relazione con l’ambiente circostante.
Dal 2019 collabori con una dramaturg. Quanto è importante questa figura per la danza oggi?
Non ho ancora un’idea chiara sul ruolo del dramaturg ma sicuramente il lavoro coreografico necessita di un occhio esterno, diverso da quello del coreografo. Miria Wurm è la mia production manager, la mia drammaturga ma anche la co-fondatrice della nostra compagnia a Monaco di Baviera Diego Tortelli works. Tra i nostri ruoli c’è grande fluidità per realizzare un sogno condiviso.
Shoot me è «un gioco di seduzione, di sguardi, di sudore, un assalto ai sensi e un’ode al corpo, al respirare la stessa aria, sudore, lacrime, furia…». È con queste parole che ci presenti la tua nuova creazione e che porti il pubblico ad immaginare il tuo lavoro come una danza basata su strutture ben definite ma permeata anche da un’estetica onirica e minimalista. Come definiresti la tua danza?
La mia è una danza spezzata che narra la tragedia e la costante innovazione del corpo, rivelandone bellezze, distorsioni e memorie. Non aspetta il tempo che scorre ma lo plasma a suo piacimento. Crea forme geometriche surrealiste, facendo in modo che il danzatore esegua movimenti per lui apparentemente innaturali. La mia danza è come il gioco del TETRIS: frammenta il corpo, ne crea infinite forme che trovano tra loro un incastro perfetto per poi moltiplicarle nell’incontro con un altro o più corpi.
Con Feeling good hai esplorato, invece, la relazione tra coreografia e disabilità. Qual è la tua idea di inclusione?
Feeling Good è una creazione per il corpo che provoca la rottura di un’idea canonica e simmetrica di bellezza. Per me inclusione significa portare in scena un cast misto che vada da un corpo che non rispetta un canone ottocentesco o classico, a un colore di pelle che non sia il lattginoso di un cigno bianco o a un genere che esuli dalla definizione di uomo o donna.
In occasione del Capodanno 2022 alla Fenice di Venezia, il colosso reggiano della moda Max Mara ha vestito i danzatori di Aterballetto per danzare le tue coreografie. Come comunicano moda e danza per te?
Vivo a Milano, città in cui la moda si respira nell’aria. A Reggio Emilia si respira Max Mara, marchio che rappresenta un’eleganza a-temporale e l’immagine di un futuro chic dalle linee minimal. Mi piace immaginare il costume, il colore, la consistenza del tessuto che scivola sui corpi dei danzatori o li trasforma.
Che rapporto hai con Reggio Emilia?
La mia vita scorre tra Milano e Reggio Emilia, città che negli ultmi anni è diventata fondamentale per il mio lavoro. Grazie al rapporto con la Fondazione Nazionale della Danza\Aterballetto e al sostegno dei direttori Gigi Cristoforetti e Sveva Berti, collaboro spesso con la compagnia e la Fondazione. Il grande interesse della città per la cultura e la danza, mi permette una costante crescita e la conoscenza di nuovi luoghi e culture, memorie fondamentali per la mia ricerca.