Cinema

Sully: movimenti microscopici ed eroismo nascosto nel grande racconto americano di Clint Eastwood

Marina Niceforo

Il fattore umano e il fattore simbolico, Clint Eastwood in Sully rievoca tragedie passate e l’ombra del dubbio nella società statunitense.

La mattina del 15 Gennaio 2009 il volo US Airways 1549 era appena partito dall’aeroporto La Guardia di New York verso Charlotte, Carolina del Nord, quando si imbatté in uno stormo di oche canadesi; l’impatto con gli uccelli danneggiò entrambi i motori dell’aereo, costringendo il capitano Chesley “Sully” Sullenberger ad un ammaraggio di emergenza sul fiume Hudson. In quello che fu definito il “miracolo sull’Hudson”, i 150 passeggeri del volo e i 5 membri dell’equipaggio uscirono tutti illesi o quasi dall’aeromobile, soccorsi dalle vicine imbarcazioni, e il capitano Sullenberger fu acclamato come eroe nazionale. Una storia americana altamente simbolica e significativa che Clint Eastwood racconta nel suo ultimo film Sully.

Non è certo la prima volta che il regista californiano sceglie di rappresentare eroi americani (American Sniper è solo l’ultimo della lista), ma questa preferenza non è dovuta al semplice desiderio di esaltare le imprese di personaggi di finzione o realmente esistiti – assecondando la tendenza americana per l’autocelebrazione. Al contrario, dietro questo ed altri racconti di Eastwood c’è un’idea ben diversa.

All’indomani dell’incidente il capitano Sully (Tom Hanks) viene messo sotto inchiesta dalla Corte dei trasporti per accertare che l’ammaraggio sia stata la decisione migliore per la sicurezza dei passeggeri. Per il capitano e il suo vice Jeffrey Skiles (Aaron Eckhart) le possibilità di rientrare con successo in uno degli aeroporti vicini erano infatti scarsissime, ma le investigazioni della commissione mettono in discussione il giudizio dei due piloti, instillando in Sully il dubbio dell’errore. Da una prospettiva opposta, i media già proclamano Sully un eroe.

Non è facile cogliere i movimenti microscopici della narrazione di Todd Komarnicki, qui sceneggiatore; il risultato della manovra di emergenza è così innegabilmente di successo che pare quasi inutile mettere su un film, e per di più un processo, su questioni di responsabilità professionale che poco importano rispetto alle 155 vite salvate da Sully. Questa è una storia dalla durata breve come il volo 1549,  che nasce e si esaurisce in pochi, netti passaggi – i fatti realmente accaduti; l’esito dell’incidente è peraltro già noto, e non lo si può sfruttare come elemento per costruire la tensione narrativa. Cosa rimane allora?

Si prenda un luogo, New York, e un tempo, il post 11 Settembre. Quanto è simbolicamente importante un episodio come questo per la società americana? Nel film lo si accenna appena, ma l’aver evitato un disastro (per quanto involontario) sui tetti della città è un topos fondamentale, e in termini pratici serve ancora di più a giustificare l’operato di Sully agli occhi delle persone.

Ancora, si prenda un uomo, Chesley Sullenberger. Quanto pesano le accuse di imperizia su un pilota di quarantennale esperienza prossimo alla pensione? Nell’America dei facili entusiasmi l’ombra della vergogna è qualcosa di insopportabile per un professionista come Sully, anche se una condanna gli fosse attribuita ingiustamente. Al capitano non interessano la gloria dei giornali o quella del pubblico – essi l’hanno comunque decretato vincitore –, ma l’opinione dell’azienda per la quale ha lavorato tutta la vita e dalla quale non può pensare di venire ripudiato.

Allo stesso modo è la fiducia della moglie Lorraine (Laura Linney) che a Sully interessa, e la stima delle sue figlie e del suo collega Skiles. Se ha commesso un errore, un “errore umano” evitabile, lo ha fatto nelle migliori intenzioni e al meglio delle sue valutazioni tecniche. Per questo, quando la sua buona fede sembra non essere sufficiente agli occhi della commissione investigativa, Sully si appella proprio al “fattore umano”: dopo lo scontro imprevisto con gli uccelli, i due comandanti ebbero a disposizione pochissimo tempo per decidere cosa fare.

Clint Eastwood sa ingannare gli spettatori con una bellissima ricostruzione delle fasi dell’incidente aereo e con una visione d’insieme della vicenda piuttosto semplicistica, ma agli occhi dei più attenti riesce a creare una dolorosa frammentazione morale: se Sully fosse ritenuto colpevole non importerebbe certo al grande pubblico o ai media, ma sarebbe un’onta gravissima per l’integrità del protagonista. È l’etica di Sully a renderlo un eroe, non la grandezza delle sue azioni, ed è forse proprio questo il messaggio più toccante di questo film. In tempi come quelli attuali, in cui i valori contano tutto sommato meno rispetto al raggiungimento di un risultato, il senso di Sully è proprio un inno all’eroismo nascosto, un invito a perseguire il giusto prima per se stessi, e poi per il bene degli altri.

Forse alla fine il capitano Sully ha ceduto, accettando di lasciarsi attribuire il “miracolo sull’Hudson” e di farsi chiamare eroe, ma solo dopo aver fatto i conti con se stesso, un uomo come altri.


Dettagli

  • Titolo originale: Sully
  • Regia: Clint Eastwood
  • Anno di Uscita: 2016
  • Genere: Biografico
  • Fotografia: Tom Stern
  • Musiche: Christian Jacob, Tierney Sutton Band
  • Costumi: Deborah Hopper
  • Produzione: USA
  • Cast: Tom Hanks, Aaron Eckhart, Laura Linney
  • Sceneggiatura: Todd Komarnicki, Chesley Sullenberger (alias Sully), Jeffrey Zaslow

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