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Campo di Mare Teatro Festival: dal 5 al 7 agosto il contemporaneo è di scena a Cerenova di Marina di Cerveteri. Intervista alla direttrice artistica Odette Piscitelli Leoni

Renata Savo

Al via da domani 5 agosto e fino a domenica 7 un intero weekend di spettacoli teatrali, musicali e performativi al Parco Vannini di Cerenova, frazione di Marina di Cerveteri (RM), dove avrà luogo la seconda edizione di Campo di Mare Teatro Festival, una rassegna ideata e organizzata dalla compagnia Le Odìssere Teatro. Segnaliamo alcuni degli appuntamenti in programma: El trio churro di Chien Barbu Mal Rasè, compagnia che racconta in modo esilarante la storia del circo e che terrà anche un laboratorio a tema green per bambini; l’installazione artistica permanente Rosetta, a cura della compagnia Lacasadargilla; Fiabe da tavolo di Teatro delle apparizioni; e la energica e brava Giulia Nervi con le sue Divagazioni ukulelistiche sull’orlo di una crisi di Nervi.

Incuriositi dalla varietà e dalla ricchezza del format, in cui si affiancano linguaggi e pubblici diversi, abbiamo fatto qualche domanda alla direttrice artistica Odette Piscitelli Leoni [foto in copertina] della compagnia teatrale Le Odìssere Teatro, nata dall’incontro di artisti diplomati all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, e attiva nella realizzazione di spettacoli, percorsi formativi, festival e progetti culturali nel Lazio; tra i suoi ultimi progetti c’è anche l’apertura di Pop Ground, spazio culturale nel cuore del quartiere Piazza Bologna a Roma, dove si tengono sia corsi aperti a tutti, che corsi di alta formazione artistica.

 

Quando e com’è nata la compagnia Le Odìssere Teatro? Qual è stato il suo percorso sino ad oggi?

La compagnia Le Odìssere Teatro è nata nel 2019, da un incontro artistico. Ero in una lunga tournèe. Nel tempo libero, io e una collega attrice e regista avevamo iniziato a leggere in camerino un testo e a immaginarlo. Da una semplice lettura ci siamo ritrovate in sala prove a realizzare la nostra idea grazie a una residenza creativa al Florian Metateatro di Pescara. Lì sono nate Le Odìssere Teatro. Si può dire che anche questo festival sia nato in camerino, durante le prove del nostro primo spettacolo Tutto scorre (una fatalità): condivisi con la compagnia l’opportunità di un bando della Regione Lazio, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Il primo seme per Le Odìssere è stata un’idea buttata lì, quasi per caso. Un’immaginazione, un desiderio creativo spontaneo e condiviso.

Secondo la propria esperienza, come mai una compagnia teatrale decide di passare dall’altro lato, ovvero alla direzione artistica, a un certo punto del proprio percorso? 

Più che una decisione, all’inizio è un desiderio di creare qualcosa di proprio: è un desiderio autoriale in un certo senso, che secondo me prima o poi viene a trovare un attore o una compagnia. È il desiderio di creare un’isola, un’identità, un teatro. Quando poi si passa dall’altra parte si apre un mondo sconosciuto, e anche molto duro per certi aspetti. Chi non ci passa, non può capire quanto sia complesso creare il proprio teatro oggi.

Campo di Mare Teatro Festival propone una serie di appuntamenti con l’intenzione di coniugare i molteplici linguaggi della scena contemporanea nazionale, “sperimentando contaminazioni artistiche e rivolgendo lo sguardo e la ricerca al tempo che viviamo”. Come descriverebbe lo sguardo e la ricerca al tempo che vivete?

Questa ricerca secondo me parte dal riconoscere di non sapere qualcosa: ammettere di non conoscere fino in fondo implica confrontarsi con la scomoda sensazione dell’incertezza. Non conosco il mio pubblico, chi è, cosa desidera, in che cosa si riconosce. Non lo so e quindi cerco. Sono partita dall’osservazione di quello che c’è; nel caso del festival, anche dall’attenta osservazione del territorio, della comunità, ma non ho mai voluto ricalcare un modello che funzionasse. Ho cercato di usare le intuizioni che sentivo, l’immaginazione che mi colpiva per creare qualcosa all’interno di quel territorio, che potesse parlare alle persone, mettendo dentro il più possibile bellezza e domande. “Domandarsi insieme”: per me questo è uno dei motivi per cui bisogna fare il teatro.

Lei è cresciuta a Cerenova. Qual è il rapporto di questo territorio, in particolare del suo pubblico, con il teatro? 

Purtroppo quando ero piccola (e adolescente poi) il teatro non c’era a Cerenova e neppure nei paesi limitrofi. Appena finito il liceo, infatti, io che volevo fare teatro mi sono iscritta a una scuola di recitazione a Roma. Negli anni poi qualcosa è cambiato, è nata qualche scuola di teatro. È iniziata una politica molto più attenta alla cultura da dueci anni a questa parte a Cerveteri, e questo ha permesso l’inizio del cambiamento anche sul fronte culturale. Un cambiamento che però sta avendo dei tempi lunghi. Non è facile portare il teatro in un luogo completamente disabituato ad alcune pratiche culturali. Questa è la sfida di Campo di Mare Teatro Festival che, in qualche modo, vuole aprire la strada al contemporaneo in questo territorio.

Da dove deriva il concetto di Wormhole, a cui il festival, alla seconda edizione, è ispirato quest’anno?

Uno dei temi che mi affascinano da sempre è quello fantascientifico/futuristico. Mi piace moltissimo spingere la mia immaginazione oltre il visibile, immaginare altri mondi, altre dimensioni. Per esempio seguo molto gli studi sui buchi neri di Stephen Hawking, l’idea che ci siano punti dell’universo in cui tutte le leggi della fisica non valgono più, un punto di mistero assoluto, in cui potrebbe esistere qualsiasi cosa, in cui potrebbe accadere qualsiasi cosa, in cui si manifesta l’ignoto. Per me il teatro è anche questo: un luogo di mistero e possibilità infinita. Si ipotizza che il buco nero, potrebbe anche essere un varco spazio-temporale, ma non possiamo dimostrarlo né comprenderlo: c’è sempre qualcosa che non torna in questi studi sui buchi neri. Einstein e Rosen teorizzarono il Wormhole (in italiano, “buco di verme”), come un cunicolo spazio temporale all’interno dell’universo, un collegamento tra due buchi neri. Quest’immagine mi ha aperto un’intuizione sul concetto di distanza, che è stato protagonista del nostro tempo dal 2020 ad oggi: la distanza sociale, fisica, la distanza improvvisamente non più percorribile. Ci siamo accorti in questo tempo extra-ordinario che alla distanza fisica abbiamo sopperito con una vicinanza telematica, ma anche in qualche modo ci siamo resi più consapevoli della rete: uno zoom all’interno delle nostre vite, per fare qualsiasi cosa. Questo secondo me ci ha trasportati in una nuova era della nostra specie. E ancora non sappiamo cosa sia davvero accaduto. “Wormhole | La distanza non esiste” [claim di questa edizione, ndr] vuole essere un’immaginazione artistica su un varco spazio temporale in cui la distanza venga completamente superata: il passato e il futuro possono toccarsi e contaminarsi, e così ciò che è vicino e ciò che è lontano.

Come direttrice artistica, se potesse esaudire un desiderio, farsi un augurio, a breve o a lungo termine, quale sarebbe?

Per ora il mio augurio è che il 5, il 6 e il 7 agosto possano essere una festa, un momento di gioia, condivisione e riflessione per più persone possibile. Mi auguro davvero che si apra questo Wormhole e accada qualcosa di misterioso. Gli ostacoli sono stati innumerevoli nella realizzazione dell’evento. Il mio augurio è che possa sprigionarsi un’energia altrettanto forte di gioia che porti questa macchina a volare. Abbiamo costruito questo giocattolo, ora bisogna lanciarlo nel cielo e far sì che voli con le sue ali. Mi auguro che questo festival, che sì nasce da una mia idea, possa diventare anche il sogno di tante persone, mi auguro che la biglia che con fatica ho lanciato nel percorso possa scatenare una reazione a catena di bellezza e valore, e magari un giorno sfuggirci di mano in senso positivo.  

 



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