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“Il bonsai ha i rami corti”: la lentezza del lockdown dal salotto di casa. Intervista a Giuseppe Nicodemo

Roberta Leo

Mercoledì 14 luglio va in scena al Teatro dei Fabbri di Trieste alle 21.00 Il bonsai ha i rami corti, ideato e scritto da Giuseppe Nicodemo e Serena Ferraiuolo. Prodotto da Il Dramma Italiano del TNC IVAN DE ZAJC di Fiume, lo spettacolo approda alla sesta edizione di FESTIL_Festival estivo del Litorale, l’unico festival di prosa del Friuli Venezia Giulia riconosciuto e sostenuto dal MiC, diretto da Alessandro Gilleri, Tommaso Tuzzoli, e Katja Pegan.

Il bonsai ha i rami corti nasce durante la quarantena, periodo che ci ha visti costretti e isolati  nelle nostre case e traduce con grande ironia la lentezza di questo tempo, le sue maschere, le sue contraddizioni e, di conseguenza, anche le nostre nevrosi e fragilità. Nasce così un nuovo personaggio, quello di Stefania Laganini (interpretata da Serena Ferraiuolo) definita dagli stessi autori «una Penelope contemporanea che, con ironia e disicanto, continua a fare e disfare la sua maglia e la sua vita». Stefania ci fa sentire meno soli condividendo con il suo pubblico i disequilibri della vita attuale, la sua precarietà, il modo in cui nasconde disagi e insoddisfazioni, il suo farsi rincuorare da piccoli passatempi, immagini e sonorità di un tempo perso e lontano in cui tutto era lento, forse più semplice, la cui nostalgia è stata risvegliata proprio dalla quarantena. Stefania è un po’ tutti noi e forse vale la pena di conoscerla meglio dialogando con uno dei suoi creatori e regista, Giuseppe Nicodemo, in attesa del debutto nazionale.

Serena Ferraiuolo in “Il bonsai ha i rami corti”

Stefania sembra incarnare, pur con qualche variante, la figura della donna contemporanea, una donna che vive sola coltivando un sano equilibrio con sé stessa godendo delle passioni e dei passatempi più semplici. Ma Stefania è davvero felice?

Stefania non è certa di essere felice, tenta di esserlo, ma capiamo che lei vive un equilibrio che è in disequilibrio. L’equilibrio si è rotto molto tempo fa, lo si capisce alla fine dello spettacolo. Come tutti noi, come quando ci hanno costretto a vivere rinchiusi, durante la quarantena, abbiamo cercato di trovare un modo per dare un senso a questo isolamento, che poi non è soltanto quello della quarantena, ma anche quello della vita normale, perché se pensi che uno lavora dalla mattina alla sera, e poi quando ritorna a casa si sdraia sul divano per andare a dormire anche questa è una forma di isolamento.

Nello spettacolo c’è un elemento che, con la complicità di una canzone, porta alla luce la vera storia di Stefania: il bonsai. Perché proprio un oggetto, una pianta?

La pianta deriva dal fatto che lo spettacolo è nato nel mio appartamento. Insieme a Serena, quando eravamo, appunto, in quarantena. Abbiamo allora deciso di fare uno spettacolo e di regalarlo al Il Dramma Italiano del TNC IVAN DE ZAJC di Fiume per la riapertura. E questo è avvenuto il 20 maggio 2020, quando hanno riaperto il teatro. Io adoro le piante, ne ho tantissime a casa. Ho molti avocado, per esempio, che tornano nel mio spettacolo. Serena aveva poi letto un articolo sulle piante, ma non posso dire di più, se non che il bonsai, soprattutto il bonsai ficus, è molto semplice da coltivare: non serve avere il pollice verde, basta dargli un po’ di acqua e lui è contento.

Ci sono state delle difficoltà nel far nascere in casa una nuova drammaturgia e, soprattutto a metterla in scena?

È stata una magia. Improvvisando ci sono venute in mente mille idee e ci siamo divertiti a farlo. Il nostro direttore, Giulio Settimo, con la direzione soprintendente, quando gli abbiamo proposto lo spettacolo come regalo per il nostro pubblico ha detto subito «Ci fidiamo, va benissimo. Lo mettiamo in scena». C’è stato un punto di domanda sul fatto che noi lo avevamo provato in un salotto, mentre dovevamo andare in scena sul palcoscenico di un teatro da seicento posti, anche se chiaramente c’è entrata molta meno gente, e quindi c’è stato un attimo di difficoltà nel metterlo in scena. Per questo abbiamo deciso di abbassare il tagliafuoco, accorciare l’altezza del boccascena, e di far recitare Serena in proscenio. Solo in quell’occasione abbiamo proiettato anche dei video sul fondo, ma per una questione estetica in seguito li abbiamo eliminati perché Serena è brava, abbastanza da farci immaginare le cose.

La musica e il cinema diventano il tappeto audiovisivo dell’azione. Quanto sono stati importanti canzoni e vecchi film?

Sono stati molto importanti. Visto che lo spettacolo in un certo senso lo facevamo innanzitutto per noi, ci abbiamo messo dentro tutte le cose che ci piacciono: dal Marlon Brando di Un tram che si chiama desiderio a Sophia Loren ne La baia di Napoli, a Liza Minnelli in Cabaret, a Liv Ullman in Scene da un matrimonio. Serena guarderà di fronte a sé, verso il pubblico, come se nel pubblico ci fosse una TV e la possibilità di comandare la nostra “amica” Alexia, l’intelligenza artificiale di cui si sente la voce registrata. Lo spettacolo fa parte di quella che diventerà una trilogia. “Il bonsai ha i rami corti” è la prima tappa, il secondo spettacolo, già andato in scena per la regia di Sabrina Morena, è “Il rider, la nonna e l’intelligenza artificiale”, mentre nella prossima stagione avremo un epilogo.



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