Arti Performative Mutaverso Teatro

Intervista a Renato Cuocolo della Compagnia Cuocolo-Bosetti

Franco Cappuccio

Una delle compagnie che a pieno titolo ha potuto rappresentare l’arte performativa italiana a livello internazionale nel nostro contemporaneo, talvolta divenendo anche parte integrante del cosiddetto “estero”, è sicuramente Cuocolo-Bosetti, compagnia che – nata a Roma alla fine degli anni ’70 come IRAA Theatre, ha lavorato sul suolo italico per molti anni prima di compiere una scelta di campo e trasferirsi a Melbourne, Australia, dove hanno fatto pienamente parte di quel percorso di rinnovamento artistico contemporaneo (che è anche costruzione identitaria) che l’Australia e in generale le “nuovissime terre” stanno attraversando da alcuni decenni, tanto da divenire anche “Flag Company”, ossia compagnia di bandiera, del governo australiano. Nel 2012, nuova scelta di campo, dettata da ragioni personali, ossia quella di ritornare in Italia e continuare così il loro percorso artistico, che in questo momento si esplica attraverso il progetto Interior Sites, giunto alla quattordicesima tappa di sedici complessive. In occasione della presentazione dello spettacolo “MM&M”, facente parte di questo progetto, che ha chiuso la stagione di Mutaverso Teatro a Salerno di cui Scene Contemporanee è media partner, abbiamo avuto l’occasione di fare alcune riflessioni con Renato Cuocolo.

Franco Cappuccio: Da cosa nasce “MM&M”?

Renato Cuocolo: MM&M – che ha anche un sottotitolo italiano dal nome “Roberta va al cinema” – fa parte di Interior Sites Project, che è questo progetto che stiamo portando avanti da molto tempo, fin da quando eravamo a Melbourne. Il progetto nasce da un lavoro sul linguaggio teatrale e sull’autobiografia; i nostri spettacoli nascono sempre dall’analisi e dall’osservazione di ciò che succede, non perché abbia qualcosa di straordinario ma perché ciò che ci succede ha spesso dinamiche comuni a tutti, e questo fa da tramite con lo spettacolo. MM&M si interroga sull’identità attraverso una sorta di autobiografia dello spettatore, cioè cercando di analizzare e ricreare una biografia attraverso quello che abbiamo visto. All’interno dello spettacolo ci sono 82 citazioni cinematografiche, in forma testuale o visuale, e crea questo grande affresco di film che porta alla creazione di una biografia immaginaria; in effetti il cinema e lo schermo soni uno specchio che rimanda alla nostra immagine e di quel che manca alla nostra immagine, per cui attraverso questo si è partita con la creazione del testo e poi dello spettacolo.

Lo spettacolo prende dal cinema anche tutto un discorso sul montaggio e quindi sulla polisemia e l’uso dei segni all’interno dello spettacolo.

Si, in effetti lo spettacolo è una sorta di immersione, in quanto noi utilizziamo sempre uno spazio ben caratterizzato e ben definito per i nostri lavori, come ad esempio una casa privata nel caso di Secret Room. Lo spazio di MM&M, essendo un cinema, ha uno spazio se vogliamo più tradizionale, nel senso che c’è lo spettatore davanti e uno schermo in fondo, ma è una sorta d’immersione, perché ciò che si vede nello schermo di fondo che è la parete di fondo della sala, e quindi è molto grande, sono cose che noi filmiamo dal vivo su questo tavolo che era il tavolo della nostra cucina e su cui pian piano durante le prove dello spettacolo accumulato una serie di oggetti – libri sul cinema, locandine antiche che ci erano rimaste, mele, uccelli impagliati – che vengono pian piano ripresi dal vivo e proiettati; la narrazione avviene attraverso cuffie, e quindi lo spettatore è come se entrasse in contatto empatico diretto con Roberta Bosetti, che è l’attrice ma è anche il personaggio, e la sua voce entra in contatto in maniera quasi sussurrata proprio da creare questa immersione dello spettatore.

Da un certo punto di vista però, tutto questo apparato tecnologico che fa anche da mediatore nello spettacolo, e che in MM&M acquista una spazialità più tradizionale dovuta appunto dal tipo di spazio utilizzato, interponendosi con lo spettatore ci restituisce una realtà però artificiale: ciò che sentiamo, pur vedendolo, ci arriva attraverso una radiolina in cuffia, quindi attraverso uno strumento artificiale, e anche quello che vediamo, ovvero la ripresa video sulla parete che avviene in tempo reale, è appunto una mediazione della vista attraverso un mezzo anch’esso “altro”.

Si, infatti uno degli elementi che c’è nello spettacolo è proprio la natura artificiale di ogni autobiografia, e in fondo il cinema stesso è per sua natura un po’ artificiale, per cui abbiamo deciso di riflettere sull’artificialità di ogni autobiografia, perché chiaramente quello che scegliamo e soprattutto eliminiamo fa parte di una scelta strategica e spesso inconscia, e quello che è interessante in questa omologia tra cinema e la mente è proprio questa parentela tra il cinema e l’inconscio, ovvero di cinema come macchina che produce fantasmi, per cui ci sembrava il mezzo ideale da usare nel nostro spettacolo. Come detto, MM&M fa parte di un progetto più ampio chiamato Interior Sites, con cui condividiamo gli stessi principi di base, che chiaramente vengono applicati di volta in volta a seconda di quello che ci stiamo interrogando; il cinema in un certo senso ci forma per quello che sogniamo di essere attraverso i film che ci hanno colpito ad esempio nell’infanzia o nell’adolescenza, per cui volevamo interrogarci su questo, e per farlo abbiamo utilizzato degli elementi che richiamano il cinema ma utilizzati in modo molto performativo, quindi la ripresa con la videocamera che però avviene in tempo reale, o ancora la voce dell’attrice che senti nelle cuffie ma è la voce dell’attrice che vedi di fronte a te, e ancora l’attrice che dice di chiamarsi Roberta Bosetti ma è anche in effetti Roberta Bosetti che racconta realmente elementi della nostra vita, e tutti questi elementi di sovrapposizione tra teatro e performance ci sembrano molto interessanti.

C’è forse anche una componente di voyeurismo all’interno dello spettacolo, proprio per questo indugiare ad esempio della videocamera sui dettagli…

Si, in effetti quello è un po’ in tutti i nostri spettacoli, anche se a volte viene sottolineato; diciamo che quello che succede nei nostri spettacoli è amplificare delle caratteristiche che sono proprie del linguaggio teatrale, che è voyeuristico per sua natura, in quanto solitamente ci sono degli sconosciuti al buio in uno spazio che guardano qualcuno fare qualcosa. Anche il rapporto attore/personaggio è una cosa che fa parte del linguaggio teatrale e non solo dei nostri spettacoli, ma noi ce ne facciamo carico, non facendo finta che non esiste, e lo portiamo alle estreme conseguenze, cioè con Roberta Bosetti che interpreta Roberta Bosetti. Ma anche qui, se vai a vedere il King Lear, vai a vedere il re oppure il personaggio che interpreta il re? C’è sempre questo elemento, noi lo sottoliniamo semplicemente nei nostri spettacoli per creare un linguaggio originale che vada a scardinare certe abitudini di visione. Forse in MM&M si vede di meno quest’aspetto, ma quello che colpisce maggiormente dello spettacolo è questa complessità testuale e anche attoriale di Roberta, e questo rapporto col cinema; infatti magari i film che ci hanno colpito sono diversi da quelli che hanno colpito te, ma siccome son film generali che fanno parte dell’immaginario collettivo e che è fatto di frasi ed immagini che riconosciamo, e questo è un elemento molto forte che viene risvegliato nello spettacolo.



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