Arti Performative

Drodesera Live Works. Parte I

Renata Savo

Ecco un primo report dal festival Drodesera – Motherlode. La prima serata, il 27 luglio, ha visto protagonisti gli artisti Jérôme Bel, Simon Asencio, Robert Lisek, GDSF Dapra + Faoro


 

Un gruppo di performer, di età e altezze diverse, si siede a terra in cerchio. Confabulano tra loro. Restiamo lì per buoni dieci minuti ad attendere che finiscano di bisbigliare e che qualcosa abbia inizio. Noi, d’altra parte, siamo a pochi metri da loro, sul palcoscenico: imbarazzati e un po’ annoiati, guardiamo gli altri spettatori localizzando sguardi di approvazione o di dissenso, cerchiamo da subito di capire qual è la temperatura emotiva del pubblico che frequenta il festival Drodesera, di cui 1000 di Jérôme Bel costituisce per noi la prima visione. Il festival è giunto alla XXXV edizione e si conferma come uno dei maggiori italiani dedicati alle performing arts, evento di richiamo soprattutto per appassionati, operatori e artisti che intendono conoscere la scena internazionale, perché è qui che occupa un ruolo predominante, come pochi in Italia. Centrale Fies, inoltre, dal 2000 promuove e sostiene i più interessanti artisti italiani: da centrale idroelettrica si è trasformata in fucina di idee, spettacoli che circolano nel corso dell’anno presso altre vetrine, stagioni teatrali, spazi alternativi. Il festival Drodesera, in pratica, rappresenta una tappa fondamentale per chi desidera immergersi nei linguaggi del contemporaneo.

Tornando a 1000, dopo aver finito di parlottare, accordatisi su quanto c’era da accordarsi, i performer si alzano in piedi, il coreografo chiede a un paio di spettatori di spostarsi in modo tale da avere un punto di vista adeguato sulla performance. Ci siamo: le attese sono create. Eppure, ecco i performer disporsi l’uno accanto all’altra. Quello cui danno vita, ora, è una conta. Devono riuscire a contare fino a mille (il gioco è presto svelato), in coro. Una dimostrazione di resistenza non tanto fisica quanto psicologica, per il gruppo e per lo spettatore: tra chi è curiosamente divertito e chi appare invece infastidito; tra chi non può far a meno di sentirsi partecipe tenendo il ritmo con il movimento della testa (in fondo l’essenza della danza consiste nell’esecuzione di azioni che si dispiegano nello spazio e nel tempo) e tra chi sposta lo sguardo altrove. Queste persone ci guardano, a volte sorridono, mostrano la fatica sotto gli occhi compiaciuti e pieni di luce del maestro, quella fatica che proprio le accademie di danza vorrebbero fosse sempre dissimulata.

La contraddittoria commistione di sensazioni sembra, tuttavia, essere una costante di queste prime serate dedicate ai live works, vere e proprie “installazioni viventi” dalla durata contenuta e dallo spessore concettuale.

Sempre firmato da Jérôme Bel, compagnia compagnia: sorprendentemente, gli stessi performer visti un’ora prima ora ci offrono allo sguardo una prova divertente della formazione di ciascuno: la ballerina classica, la ginnasta ritmica, lo stile di Isadora Duncan, il danzatore di sirtaki. Ciò che viene messo in evidenza, a turno, è lo scarto delle competenze tecniche tra un danzatore in primo piano e il tentativo di imitazione dei suoi movimenti da parte degli altri danzatori. Gli effetti sono esilaranti: ogni individuo incorpora una sua memoria, un suo personale modo di eseguire le azioni, ciascuno è speciale nelle sue possibilità fisiche (tra i danzatori, anche Chiara Bersani, performer diversamente abile e straordinaria nella sua forza che avevamo già avuto modo di incontrare nel tenero Your girl di Alessandro Sciarroni).

Immediatamente prima di questa performance, Jessica di Simon Asencio: una finta presentazione di uno spettacolo che acquista valore all’interno del suo contesto, non a caso collocata a preambolo dello spettacolo di Jérôme Bel; monologo comico sulle nevrosi del mondo del lavoro, ma anche spettacolo sulla mancanza di spettacolo e sul non senso dell’esserci, nel tentativo continuo di tenere la scena legittimando la propria presenza di fronte allo spettatore.

Sempre durante la prima sera, Could be like this, even like this di GDSF Dapra + Faoro, performance con spunti concettuali che si evolve in narrazione straniante. E per finire, il polacco Robert Lisek con Lou_chiper, che unisce algoritmi matematici all’esecuzione sonora dal vivo di partiture materiche, che vibrano sulla pelle degli spettatori; interessante il contrasto tra la violenza del suono e i movimenti precisi di una assorta danzatrice, ma appare forzato il tentativo di attualizzazione tramite chiari riferimenti al terrorismo.

 



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