Arti Performative FOG

Ariella Vidach Aiep Didstudio // Improvvisazioni itineranti nel parco

Maria Ponticelli

Gli inaspettati trenta gradi di aprile si prestano bene alla performance della compagnia milanese Ariella Vidach Aiep Didstudio che si esibisce in uno spettacolo di teatro-danza all’interno del Festival Fog della Triennale di Milano.

Il verde del Parco del Sempione, location dello spettacolo, serve in maniera altrettanto significativa il lavoro dei danzatori, la sua estensione invece un po’ meno: non poche persone infatti faticano a trovare il punto di partenza dello spettacolo. Quella della compagnia Vidach è una performance itinerante che nei suoi spostamenti da un punto all’altro del parco porta dietro una folta fila di persone. I costumi total white dei danzatori confondono inoltre il visitatore che crede di assistere ad una classe di  yoga en plein air, ma è il bianco stesso a guidare gli spettatori tra alberi e cespugli del Sempione.

La performance ha inizio con una breve coreografia eseguita in uno slargo tra le numerose persone che nella calda giornata di sabato affollano i verdi prati del parco milanese. Il primo spostamento lascia poi qualcuno titubante ma, partito il primo coraggioso, tutti gli altri non faticano a seguirlo. E si cammina dunque all’inseguimento dei danzatori, qualcuno per strada si lancia andare a qualche commento mentre altri, giunti sul luogo delle successive tappe, chiede con disinvoltura conferma della performance agli stessi artisti. Altro slargo altra tappa, i performer si fermano di scatto e tutti in gruppo guardano un punto fisso come se qualcosa li avesse improvvisamente rapiti poi, ancora di scatto, ripartono per muoversi di nuovo tutti in blocco ed inscenano una nuova coreografia. Stavolta le tre coppie, ciascuna composta da un uomo e una donna si alternano in movimenti sincronici e precisi mentre ancora una volta la natura presta il fianco alla loro fatica, porgendogli come palco la ghiaia su cui i loro piedi scivolano in un’agile danza.

Quello della compagnia Ariella Vidach è infatti uno spettacolo sviluppato intorno all’idea di fusione con la natura, anche se in un parco che, sebbene di grandi dimensioni, è inserito nel contesto urbano di una metropoli come Milano. L’uomo con il suo corpo è parte dello stesso habitat naturale in cui si inserisce ed in tale accezione totalizzante dell’esistenza si concentra il lavoro della compagnia meneghina. In questa via crucis del Sempione il vero spettacolo si tiene però all’interno degli occhi di chi guarda ed in particolare dei bambini, una bambina domanda il perchè dei continui spostamenti delle persone vestite di bianco, un altro bambino grida: “mamma corri, c’è una a testa in giù!”. Gli artisti intanto, imperturbati ed integrati col pubblico degli spettatori e con la natura intorno, intrecciano i loro arti al legno di una staccionata che circonda un laghetto, ed è un lungo snodarsi ad occhi chiusi e teste in giù in una fusione totale con l’ambiente naturale. Le macchie d’erba presenti sui costumi dei danzatori sono i punti di contatto tra gli artisti e l’habitat circostante o, in un più generale tentativo di interpretazione , tra l’uomo ed il resto della creazione.

L’ultima tappa dell’esibizione si sviluppa intorno ad una contact improvvisation, in cui l’armonia e la perfezione della natura vengono rappresentate in una esperienza corporea e di interazione spontanea, preludio alla conclusione dello spettacolo. La performance infatti volge già al  termine nel momento in cui la compagnia si infila in un fitto aggrovigliarsi di rami di alberi posti in maniera ravvicinata; in questo momento nessuno tra gli spettatori si trattiene dal seguire gli artisti nei loro ultimi spostamenti.

La conclusione ha come scenografia il castello Sforzesco verso cui i danzatori porgono la schiena mentre con un caloroso sorriso salutano e ringraziano un pubblico sudato ma entusiasta. I performers escono di scena infiltrandosi proprio tra le persone che hanno di fronte come a voler cercare un nuovo punto di fusione con la natura e con le sue creature ma anche  nell’intento di dire siamo performer, questa è una performance, ma non credeteci troppo.



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