Arti Performative

All In! Chiamata alle arti // Intervista a Ksenija Martinovic

Renata Savo

Nell’ambito di “All In! Chiamata alle arti”, rassegna interna al format di “Dominio Pubblico”, e dedicata alla scena Under 25, abbiamo intervistato la giovane attrice e regista Ksenija Martinovic in scena con “Diario di una casalinga serba”

Giovani organizzatori e artisti emergenti hanno messo in comune la passione teatrale al servizio di una rassegna tutta “Under 25”. Si chiama All In! Chiamata alle arti ed è alla sua prima edizione, ma ci auguriamo che l’evento possa ripetersi con successo anche l’anno prossimo, e quelli a venire.

All In! – espressione che vuole richiamare la dinamica del gioco del poker – è nata in seno al format di “Dominio Pubblico”, progetto che a sua volta congiunge l’attività di due tra i più noti teatri dedicati alla scena “off” della capitale: il Teatro Argot Studio e il Teatro dell’Orologio.

In occasione del debutto di Diario di una casalinga serba, abbiamo intervistato al termine dello spettacolo la regista e interprete Ksenija Martinovic: alle sue spalle ci sono un diploma conseguito alla Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine e, come tutti gli altri artisti che hanno partecipato a All In!, una serie di esperienze professionali molto promettenti.

 

Parlaci un po’ di te: quanti anni hai, dove vivi, e poi della tua formazione.

Io sono del ‘89, ho ventiquattro anni… tra poco ne compio venticinque!

Ho vissuto tutta la mia adolescenza in Serbia. I miei sono separati da quando avevo sei anni, mio padre è rimasto in Italia per lavoro. Mia madre, invece, è tornata in Serbia e io sono tornata con lei, facendo il liceo là. Siccome parlavo, capivo già l’italiano, quando avevo diciannove anni ho deciso di studiare teatro e di venire in Italia (vivo in Italia da cinque anni e mezzo) e quindi ho prima fatto l’audizione per un corso destinato alla formazione di allievi stranieri all’Accademia Nazionale Silvio D’Amico, mi hanno presa, quindi ho fatto un anno qui a Roma alla “Silvio D’Amico”, dopodiché mi sono trasferita a Udine, dove vive mio padre, e ho finito la “Nico Pepe”, accademia che anche grazie a un gemellaggio con la “Paolo Grassi” di Milano ci sta dando modo di girare con Mistero Buffo di Dario Fo, uno spettacolo bellissimo.

E’ ormai da quasi un anno che sono molto spesso a Torino, perché lavoro con una compagnia di Torino, la Piccola Compagnia della Magnolia, di Giorgia Cerruti, con cui stiamo preparando il nuovo spettacolo: Atridi – Metamorfosi del rito. Debuttiamo a maggio a Lione e poi andiamo a Castrovillari, perché ci hanno preso per il festival Primavera dei Teatri. Abbiamo un po’ di date nei festival… e al Teatro Stabile di Torino siamo a novembre.

Ti dedichi, quindi, completamente al teatro o trovi anche il tempo di dedicarti ad altro?

No, per adesso, mi dedico solo al teatro. Quando ho un po’ di tempo libero di solito mi chiudo in un sala danza dove provo questo spettacolo [Diario di una casalinga serba]. Quindi quando ho un po’ di tempo libero faccio questo, anche per tenermi un po’ allenata, per non stare ferma, perché se no… poi mi deprimo!

Come sei venuta a conoscenza di All In: chiamata alle arti?

Il link me l’ha inviato proprio la mia regista di Torino, mi ha detto “Prova questo!”, perché in realtà io pensavo di proporre lo spettacolo  al Torino Fringe Festival, dopodiché ho capito che era un’altra situazione. Poi per me questo era il debutto: mi piaceva molto di più una realtà così, per questa cosa, per adesso… quindi diciamo che sono stata proprio contenta quando mi hanno chiamato.

Eri molto contenta perché ti attraeva proprio l’idea di questa rassegna, di coinvolgere i giovani?

Sì, tantissimo! Infatti, quando ho saputo che mi avevano scelto ero contentissima, proprio perché sono stati i giovani a scegliermi. E’ stata una cosa molto bella!

Quali sono le tue influenze, chi reputi tuoi maestri? Vedendo Diario di una casalinga serba non può non venire subito in mente Krapp’s Last Tape di Samuel Beckett…

Assolutamente sì! Quel pezzo è fantastico, ho avuto la fortuna di vederlo a Londra, dove l’ha fatto Mike Gambon, attore bravissimo. Mi ha fatto piangere, ridere allo stesso tempo, perché quel testo è molto difficile, già solo da leggere… se poi non lo fai bene… Comunque sì, sì, Beckett mi piace moltissimo! In realtà, prima di pensare a Beckett mi è venuto subito in mente di sostituire con il registratore l’azione della scrittura della casalinga nel suo diario. Perché scrivere in scena non è che sia molto “teatrale”…

Che legame c’è tra te e il personaggio che interpreti? Non a caso Andjeska è una giovane donna piena di ambizioni, vuole fare l’attrice, ma poi deve disilludersi perché la storia del suo Paese le fa crollare il mondo addosso.

In realtà, vedi, non c’ho mai pensato a questa cosa! Cioè… ho pensato al collegamento con mia madre che voleva che facessi la dottoressa, non l’attrice… quindi è uguale! La generazione alla quale il personaggio appartiene, però, non è la mia. E’ la generazione cresciuta negli anni ’60, quella dei miei genitori, quindi più “grande” di me. E però è stato proprio questo che mi ha incuriosito tantissimo, perché io essendo dell’89 non ho vissuto i bombardamenti, non ho vissuto la guerra degli anni ’90, ero appena nata, ma è come se io portassi il peso, diciamo, di questa roba, in qualche modo. E ogni volta, anche in Italia, spesso mi chiedono “L’hai vissuta, non l’hai vissuta… ?”. Quando ho letto questo libro, sono rimasta colpita, mi piaceva proprio perché toccava delle cose legate alle mie radici, in un certo senso, e alle radici dei miei genitori. Anche la scelta musicale le riflette. L’ultimo pezzo, per esempio, me lo cantava mia madre quando sono nata. E’ un pezzo di un gruppo che era famosissimo all’epoca, in Jugoslavia. E quindi mi ritrovo in tutte queste cose, che sono i racconti dei miei genitori o di persone che conosco, e nel fatto che il personaggio, una giovane serba come me, vuole fare l’attrice. Per il resto, a parte queste cose, il personaggio mi ricorda i volti di persone che ho conosciuto, che ho incontrato sia in Serbia sia qui. Anche perché a me piace un po’ quando c’è una distanza… in questo monologo, appunto, c’è una distanza, che non è proprio legata a me, ma una cosa del mio passato, della mia cultura.

Che valore ha il teatro in termini d’identità collettiva, di educazione, a Belgrado? Su quali aiuti possono fare affidamento gli artisti? Qual è la condizione sociale dell’attore?

E’ molto diverso dall’Italia, completamente diverso, perché c’è ancora il sistema del comunismo. Quindi ci sono un sacco di Teatri Stabili, gli attori con le paghe mensili (che qui, quando lo dico, tutti mi dicono “Oh! Che bello!”), però dall’altro lato c’è da dire che la Serbia è molto piccola come Paese, Belgrado è grande la metà di Roma, con cinque Teatri Stabili, e basta. Quindi la differenza tra l’Italia e la Serbia è che l’Italia è molto grande, ci sono dei tour e tu viaggi, ci sono tantissime città importanti e tantissimi teatri. In Serbia, a parte Belgrado, il livello culturale è abbastanza morto.  C’è comunque una difficoltà per questo mestiere anche lì, però il teatro è molto riconosciuto. La gente ci va spesso a teatro, per abitudine. I teatri sono sempre pieni. Io, così, da fuori, avendo anche avuto la fortuna di scoprire un altro Paese, un altro modo di fare teatro, posso dire che un po’ si sente il fatto che è un Paese in cui adesso si riesce a viaggiare così, però c’è stato un momento durante la guerra dove si stava per dieci anni tutti chiusi là, e quindi secondo me ci sono molte mentalità un po’… insomma, non è un teatro sperimentale, è molto classico e ci sono zero o, diciamo, una sola realtà, forse, non classica, che si chiama Dah teatar, che è off, lì presente da vent’anni con il suo pubblico, però è veramente un’eccezione.

Non esistono delle vetrine particolari, come All In, per esempio, per gli artisti indipendenti, per i giovani?

No, assolutamente. Non c’è spazio per i giovani, per cose così, solo per cose molto grandi. Ma io credo che sia solo una questione di tempo, vedo che già adesso stanno cambiando le cose…

E tu, insomma, consideri di fare dell’Italia la tua terra d’adozione?

Io mi sento molto a metà tra la Serbia e l’Italia…

Come nel tuo spettacolo…

Sì, mi sento veramente a metà, e questa è una cosa bella, perché conoscere ed appropriarsi di un’altra cultura rappresenta una vera ricchezza. 



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