Cinema Il cine-occhio

Alita – Angelo della battaglia

Stefano Valva

Il fumetto è uno dei media (nonostante nell’epoca moderna sia in grave crisi, a causa dell’incessante crescita delle arti figurative digitali) che più è stato utilizzato nel cinema contemporaneo, insieme alla letteratura, per le narrazioni post-umane, ovvero, come a volte anticipa la denominazione, racconti su delle post umanità, ossia mondi, esseri, società e rappresentazioni futuristiche e/o attuali dove l’uomo non è, almeno nella maggior parte dei casi, il protagonista principale, o per meglio dire, la sola variabile sulla quale ruoti tutta la componente narrativa, al contrario della psicologia totalmente antropologica nel post-modernismo.

Il nuovo film scritto e prodotto da James Cameron, che di cinema post-umano ne sa qualcosa, grazie alla realizzazione di Avatar nel 2009, e dei conseguenti sequel che usciranno tra qualche anno, è l’adattamento cinematografico di un famosissimo manga giapponese, nello specifico della sua versione che va dal 1990 al 1995, creato da Yukito Kishiro, ossia Alita – Angelo della battaglia. Inizialmente, Cameron doveva essere anche il regista di tale pellicola, per poi lasciare la direzione ad un director che conosce anch’esso bene non tanto il post-umano ma i fumetti, quel Robert Rodriguez autore dell’irriverente Sin City.

La storia parte nel 2563, quando la Terra è devastata come un mondo post-apocalittico, a causa di una grande guerra avvenuta qualche centinaio di anni prima contro le forze armate di Marte. Uniche superstiti, due città: La città di ferro, dove vive la popolazione che si potrebbe definire (latinizzandola) la plebe, che sembra un territorio futuristico solo per anno e per iconografia, ma che in realtà ha subito una regressione “barbaresca”, per dirla con le parole del sociologo Alberto Abruzzese; gli “aristocratici” invece vivono (probabilmente) nell’ultima delle città sospese, ossia Zalem, divisa e quasi inaccessibile da quella di ferro.

Alita è una cyborg-guerriera dei tempi della grande guerra, che viene ricostruita dal dottor Dyson Ido, interpretato da Christoph Waltz. La ragazza diventa l’assistente del medico, sviluppando una forte curiosità, paragonabile a quella dei bambini durante la crescita, su come arrivare a questa fantomatica Zalem, gestita dal deus ex machina Nova. Inoltre, attraverso vari ricordi e flashback, la teen-cyborg comprende che le sue grandi abilità fisiche derivano da una vita precedente abbastanza intensa.

Amore, tempo e memoria sono le tre costanti che attraversano questo film, come del resto in tutte le narrazioni post-umane. L’amore nel cinema post-umano è spesso platonico, soprattutto quando riguarda i rapporti uomo – macchina, o impossibile per svariati motivi, come lo è in Her di Spike Jonze o nella serie Westworld di Jonathan Nolan, ed è così, seppur per vicissitudini diverse, anche in Alita, ovvero un amore puro, a tratti insensato e incomprensibile, e pieno di ostacoli dettati dal fato. Il tempo è la variabile più in movimento, più mutuante e s-linearizzata fra le tre, seppur in Alita non sia processualmente così determinante come in film post-umani e post-moderni come Interstellar e Dunkirk di Christopher Nolan o per esempio nell’attuale terza stagione di True Detective.

Infine, la memoria in Alita è ancor di più strettamente collegata al tempo. I suoi flashback sulla guerra o su altre vicende servono a determinare materialmente il contesto temporale che lo spettatore sta vivendo, e al tempo stesso la storia di questo mondo futuristico, che sembra solo in superfice esteticamente e concettualmente lontana anni luce dalla nostra contemporaneità.

La memoria e il tempo della pellicola entrano in simbiosi, come lo sono in The Man in The High Castle, in cui servono per svelare il mistero del mondo distopico. La memoria serve ad Alita nello specifico per capire e comprendere sé stessa, per accettarsi e scoprire la sua personalità e il senso intrinseco della sua vita. D’altra parte il tempo serve per calarsi perfettamente nella società in cui vive, per maturarsi e per conoscere la storia, perché senza scoprire il passato non si può affrontare e modificare il futuro.

Alita oltretutto consolida come opera anche la visione tecnica anti-tradizionalista di James Cameron, che già da tempo ha deciso di non girare più film con la pellicola tradizionale, accodandosi a quella parte di Hollywood che ritiene il digitale al giorno d’oggi indispensabile per una produzione filmica, e la pellicola tradizionale come un’arte superata, ricordando inconsciamente lo storico dualismo ancora più epocale, che ci fu tra cinema muto vs quello sonoro.

La protagonista infatti è interamente costruita con la tecnologia della CGI, a differenza degli altri attori di grande spessore, che sono presenti fisicamente nel film, come il già citato Christoph Waltz, sempre pungente e ordinato, o anche Jennifer Connelly e Mahershala Ali, che sono gli scagnozzi di Nova, interpretato in un maxi-cameo da Edward Norton.

Uso del digitale che serve anche a spettacolarizzare il film nelle scene 3D, grazie ad un costante uso nelle scene action del rallenty e dei long-take, con un’atmosfera a tratti bizzarra e ironica, come in varie parti del cinema di Rodriguez.

Alita è in sintesi un film che intrattiene, godibile per il suo scenario e per la sua attrazione visuale, oltre che per la presenza di un cast tout court carismatico. È un film inoltre che fa anche emozionare, che regala scene tristi, sentimentali ed eroiche; è pieno di speranza, quella di sognare un mondo e di raggiungerlo non solo con la vista ma anche con tutto il corpo, con i propri cari e con le persone che si amano, un mondo che non sia esclusivo, ma che sia condivisibile per tutti.

Alita è la paladina del post-umano, una risorsa meccanica ma allo stesso tempo più umanizzata di tutte, che può sconfiggere il male dell’umanità e forse chissà, renderla migliore e farla progredire nel vero senso della parola, perché il futuro non deve essere solo un numero sul calendario, ma anche un’aspirazione nuova, una società evoluta che debelli totalmente le sue negative peculiarità storiche e antropologiche.

Cameron e Rodriguez mettono svariati ingredienti nel calderone, che più di due ore di visione non possono rendere esaustivi per lo spettatore, almeno per il momento, dato che già sono stati confermati quasi ufficialmente dei sequel, che risolveranno probabilmente vari intrecci che questo primo capitolo interrompe o dimentica per la “via narrativa”; confondendo soprattutto un tipo di pubblico che non ha familiarità col supporto originario della storia, ossia il manga. Si profila indispensabile, e sembra quasi strano dirlo in un’epoca cinematografica in cui si costituisce più come difetto che come pregio, un capitolo successivo della pellicola.

Il 2563 è l’anno in cui la vita, il mondo e il destino degli uomini sono nelle mani di una teenager meccanica, e forse indirettamente e inconsapevolmente le macchine controllano tutto già oggi, anche se spesso facciamo ancora fatica culturalmente ad accettarlo.




Altro

  • Diretto da: Robert Rodriguez
  • Prodotto da: James Cameron, Jon Landau
  • Scritto da: James Cameron, Laeta Kalogridis
  • Tratto da: "Gunnm" di Yukito Kishiro
  • Protagonisti: Rosa Salazar, Christoph Waltz, Jennifer Connelly, Mahershala Ali, Ed Skrein, Jackie Earle Haley, Keean Johnson
  • Musiche di: Tom Holkenborg
  • Fotografia: Bill Pope
  • Montato da: Stephen E. Rivkin
  • Casa di Produzione: 20th Century Fox, Lightstorm Entertainment, Troublemaker Studios, TSG Entertainment
  • Distribuito da: 20th Century Fox
  • Data di uscita: 31 Gennaio (Odeon Leicester Square), 14 Febbraio (USA/Italia)
  • Durata: 122 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 200 milioni di dollari

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