Arti Performative Dialoghi

Alda Merini, l’amore con gli occhi lucidi della follia. A 40 anni dalla Legge Basaglia, l’omaggio a teatro di Antonio Nobili

Renata Savo

“Io sono folle, folle, / folle di amore per te. / Io gemo di tenerezza / perché sono folle, folle, / perché ti ho perduto. / Stamane il mattino era sì caldo / che a me dettava questa confusione, / ma io ero malata di tormento / ero malata di tua perdizione.”

L’autrice di questi versi è Alda Merini, la Poetessa dei Navigli a Milano, l’ultimo pilastro femminile della poesia italiana del Novecento. Occhi lucidi più che obnubilanti i suoi, nel doppio senso della parola; occhi attraverso i quali la ragione si fa emozione, trasporto emotivo, fino a raggiungere la pagina, dove si veicola il senso più profondo dell’amore, fatto di apprensione e carnalità, accettazione e dolore, slancio e poesia. La voce di Alda Merini ha trasmesso con immediatezza la sofferenza di chi ha amato troppo con la paura di perdere la partita con l’altro; nella fattispecie, il suo grande amore e primo marito Ettore Carniti da cui ebbe quattro figlie. In un’intervista alla figlia Emanuela a Vanity Fair (18 ottobre 2010) si racconta che fu proprio questi a condurla verso la folle esasperazione:

quando la mamma si ammalò davvero, arrivò nel 1966. Io avevo 11 anni, Flavia 8, Barbara e Simona non erano ancora nate. Mio padre, che era un uomo molto chiuso, un giorno disse che usciva per andare a un funerale e tornò dopo due giorni. Non abbiamo mai saputo dove sia stato. Mia madre fu presa da una terribile ansia, lo cercò disperatamente e, quando papà tornò, gli chiese conto di dove era stato. Lui non rispose, scoppiò una scenata violentissima. Mio padre non seppe gestire il litigio. Invece di calmarla, chiamò qualcuno al telefono: non abbiamo mai saputo chi. Poi portò me e Flavia dalla portinaia, risalì e poco dopo sentimmo nostra madre che gridava mentre la trascinavano giù per le scale. La sera stessa papà ci portò a Torino, da parenti che quasi non conoscevamo. In poche ore era sparita la nostra famiglia, non avevamo più una casa e nemmeno dei genitori. Quando ci penso, sento dentro le stesse sensazioni di allora: terrore, disperazione, senso di impotenza”.

Abbiamo ancora bisogno di ascoltarla, immaginarla, leggerla, Alda Merini, quasi fino a toccarla, come la reliquia di una martire protettrice degli ultimi malati d’amore. Perché la sua voce è in noi e noi siamo lei. Come lei folli, e malati d’amore. L’amore che abbiamo perduto ancora prima che arrivasse a far parte del nostro essere. L’amore in cui abbiamo continuato a credere anche dopo una grandissima delusione. L’amore di cui abbiamo provato a rimuovere, con ostinazione, coraggio – o al contrario, codardia – l’importanza nelle nostre vite, scontandone l’assenza al prezzo di una “mezza felicità”, con il sopravvento della “società liquida” delineata da Zygmunt Bauman, in cui le relazioni sono diventate oggetti di consumo, forme di investimento economico e sociale alla stregua di qualsiasi prodotto sul mercato. Tutto questo Alda Merini lo ha anticipato, sofferto in prima persona, attraverso la sua esperienza – troppo forte da sopportare – di donna rifiutata e abbandonata, nel silenzio asfissiante di una bugia.

In occasione dei quarant’anni dall’emanazione della Legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi e dei dieci anni dalla scomparsa di Alda Merini, Antonio Nobili e TeatroSenzaTempo Produzione Spettacoli Teatrali di Roma rendono omaggio alla poetessa dei Navigli in Dio arriverà all’alba, narrandone la quotidianità come fonte inesauribile e imprevedibile della sua produzione poetica. Ne sono interpreti Antonella Petrone nel ruolo di Alda Merini, Valerio Villa (Paolo), Davide Fasano (Arnoldo Mondadori), Virginia Menendez (Anna), Alberto Albertino (Dott. Gandini) e Sharon Orlandini (la bambina).

“”Dio arriverà all’alba” – si legge sul comunicato stampa – è un testo poetico e vivace in cui Alda Merini accoglie il pubblico nel suo quotidiano più intimo e controverso. La finestra sui Navigli è aperta verso la sua casa piena di ispirazione e di persone che hanno sottolineato la sua umana e fragile anima. Alda Merini non si è lasciata fermare neanche dagli orrori dell’ospedale psichiatrico, continuando a scrivere e offrirsi generosa al mondo.”

Lo spettacolo è in procinto di iniziare la sua tournée. Sarà il 17 e il 18 novembre a La Spezia (Teatro Dialma Ruggiero); l’1 e il 2 dicembre a Pianoro (BO) (Teatro Le Rose); l’1 e il 2 marzo a Firenze (Teatro Lumière); il 4 e il 5 maggio a Bari (Piccolo Teatro di Bari Eugenio D’Attoma). 

Ci racconta com’è stata questa esperienza, di scrittura e di messa in scena, direttamente l’autore e regista, Antonio Nobili.

“Dio arriverà all’alba” è un omaggio nell’omaggio. È un omaggio ad Alda Merini, in occasione dai quarant’anni dalla Legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi. Perché tra le figure eccentriche che hanno inciso sul nostro Novecento, proprio Alda Merini?

Ho messo al centro della mia carriera teatrale le figure femminili e la narrazione del loro universo, così complesso, sotto molteplici aspetti. L’inizio fu con l’esplorazione del femminile nel corpus teatrale di Federico García Lorca, portando in scena le sue donne immortali. Ho poi vissuto un periodo più “commerciale” nella scrittura (un po’ per necessità, un po’ per impulso creativo) dedicandomi a grandi storie biografiche di gloriosi personaggi. L’anno scorso, in vista del decennale dalla scomparsa di Alda Merini e di richieste pervenute per uno spettacolo sulla sua vita (già di per sé spettacolare), ho avuto la grande possibilità di far incontrare i due affluenti principali della mia carriera in un unico mare che poi è Dio arriverà all’Alba.

Quali sono state le principali fonti di studio sulla vita di Alda Merini?

Ho letto l’intera bibliografia di Alda Merini cercando di avvicinarmi al suo pensiero, alla sua anima, studiando fino a notte ogni intreccio, ogni immagine evocata o nascosta tra i versi. In quel periodo erano gli occhi rossi e il collirio a ricordarmi una fatica che, però, non sentivo. Il senso del dovere incontrava la passione crescente e il capo rimaneva naturalmente chino sul libro. Un piccolo gruppo di miei allievi e assistenti si è poi preoccupato di visionare ogni singola traccia audio e video esistente sulla Poetessa dei Navigli. Con il mio aiuto regia Margherita Caravello abbiamo “ritrovato” e intervistato a lungo persone legate ad Alda Merini e ci siamo confrontati continuamente attraverso “brainstorming” con tutto lo staff, tra nuvole di fumo e piogge di caffè. La raccolta di informazioni e il confronto di ogni singola fonte dà vita ad ogni mio testo, al clima di comunità, che sono riuscito a creare dove ognuno porta sul tavolo la sua esperienza e matura la sua opinione. Io scrivo e il testo nasce, come dalla farina il pane.

Come hai immaginato, tu, il carattere di questo personaggio autorevole della poesia italiana?

Ho lavorato  molto sulla costruzione del carattere, ma attraverso le reali testimonianze di chi l’ha incontrata e “subita”, più che attraverso la mia immaginazione, che ha avuto il suo bel daffare nello scegliere il “come” far esprimere quel carattere così complesso e segnato da una malattia mentale nota a tutti, attraverso un testo interamente originale, perché, sì, Dio arriverà all’alba è un testo dove una realistica Alda Merini parla con parole mie dalla prima all’ultima riga. Fatta eccezione per due splendide poesie in “voce off” tra un atto e l’altro dello spettacolo.

Quali sono gli altri personaggi che circondano la protagonista? C’è un periodo particolare della vita della Merini che hai immortalato nella tua scrittura e regia?

Dio arriverà all’alba inizia proprio con un notiziario alla radio, che inquadra il periodo in cui la storia si svolge: una Milano degli anni 2000. I Maya hanno sbagliato, o noi non li abbiamo troppo compresi,  il progresso avanza,  la vita dei semplici arranca, il tempo che prima sembrava nostro schiavo, poi amante sospirato, oggi fugge e noi gli corriamo dietro per strappargli qualche brandello da conservare nei ricordi. Come i Navigli durante le piogge cresce il degrado nelle città e negli esseri umani che ci si specchiano, il futuro si fonde alla nebbia, diventa incerto. Tutto questo ha una specie di “odore” che Alda Merini non solo percepisce, ma profeticamente anticipa e la sua casa diviene, di conseguenza, un’arca di salvezza e quel mondo fuori, inesorabilmente, le entra in casa. Nel via vai continuo e ritmicamente scandito dal citofono o dal campanello di casa Merini vediamo: Anna, giovane vicina di casa che dà un aiuto alla signora Merini nella gestione domestica, un lavoro assai complesso, visto l’impegno con cui Alda Merini creava disordine in cui “sentirsi serena”; Arnoldo Mosca Mondadori, che cura l’ultima pubblicazione di Alda Merini, una raccolta di poesie di cui lui ne sceglie o scarta altre, facendo molto spesso visita alla Poetessa, fino a trasferircisi in casa e per motivi non professionali; il Dott. Gandini, ortopedico che ha a cura le doloranti ossa “bohemienne” di Alda Merini. Ama la poesia (e la poetessa) allo stesso modo con cui da ragazzo amava Ippocrate; Paolo, giovane studente universitario che viene da Roma, su ordine di un suo professore, al fine di incontrare e “studiare” il fenomeno Alda Merini. Nelle visite quotidiane, necessarie all’intervista, Paolo vive sulla propria pelle quale possa essere l’effetto della (vera) poesia sugli esseri umani. Paolo è anche la leva drammaturgica su cui si muove il conflitto che nascerà in Alda Merini alla vista del giovane. Infine, senza i fili della recitazione, dello spazio e del tempo, viva come le pareti di quella piccola casa popolare, si muove tra gli intrecci della storia una bambina.

Chi sono, invece, gli attori? 

In Dio arriverà all’alba il ruolo di Alda Merini è calzato alla perfezione da Antonella Petrone, che dello spettacolo è anche una della “cause”, scatenate dai numerosi “impulsi informi” da me ricevuti durante la nostra ormai lunga collaborazione iniziata con la drammaturgia di Federico García Lorca.  Nell’attuale versione ci sono poi tre giovanissimi attori, straordinari, provenienti dall’Accademia di Arti Drammatiche TeatroSenzaTempo. Li ho visti crescere e ora li vedo ogni giorno sorprendermi. Rispondono al nome di Valerio Villa (Paolo, nello spettacolo), Davide Fasano (Arnoldo Mondadori) e Virginia Menendez (Anna). Una marcia in più è data allo spettacolo dall’interpretazione del pragmatico ma impacciato Dott. Gandini, Alberto Albertino, che ne indossa il camice e si conferma una garanzia nelle mie produzioni. A chiudere il cerchio, Sharon Orlandini (La Bambina), una collaborazione nata “dietro le quinte” che si è estesa confluendo magicamente sulla scena.

Quali sono i valori che ispirano TeatroSenzaTempo, e su quali altri fronti si muove la sua attività?

TeatroSenzaTempo nasce ormai più di una decade fa come una idea: un bacino nel quale far confluire tutti i miei studi e accogliere tutti coloro che volessero condividerli.
Diventa nel tempo, attraverso i numerosi sacrifici fatti da me, da Mary Ferrara che con me dirige la struttura, e dagli altri soci, la realtà che è oggi: una solida struttura di formazione per i giovani e per tutti coloro che vogliano perfezionarsi nelle arti sceniche, tanto quanto un fiorente e creativo centro di produzione di spettacoli teatrali. Studio, ricerca, innovazione, creatività e comunicazione sono alla base di TeatroSenzaTempo, che affonda le sue radici esattamente nella stessa terra da cui si nutrono i miei testi. Il senso di comunità che aleggia tra le pareti del nostro teatro e, soprattutto, la continua ricerca della semplicità in ogni cosa sono i risultati migliori ottenuti sino ad oggi. Una semplicità che si rispecchia in Dio arriverà all’alba, dove nasce tra le pareti di una piccola e modesta casa popolare la più grande poetessa del Novecento italiano. D’altronde non è da sempre così? Non c’è forse un piccolo atomo alla base di tutto l’universo?

 

 



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti