Arti Performative Focus

Il “Canto dell’Assenza” degli Instabili Vaganti: teatro dell’esperienza

Renata Savo

«In teatro nulla nasce dal nulla, almeno nel nostro caso.
Ogni spunto di riflessione è dovuto a un input esterno che solletica le nostre emozioni e attiva qualcosa di più profondo, di interiore, legato alla nostra personale esperienza»
.

Le parole autentiche di due artisti italiani, che hanno fatto e continuano a fare esperienza del teatro in tutto il mondo, si nutrono di vita e di storie, di incontri e di canti, dalla Cina all’India, dall’America Latina ai Balcani. Parole dotate di umanità, lucidità e consapevolezza, che Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, in arte gli Instabili Vaganti, hanno messo insieme in quel libro che li riguarda da vicino e che descrive bene tutti i loro viaggi, Stracci della memoria (CUE Press, 2018). Un libro che inquadra, chiarendo anche meglio a se stessi, le tappe di un percorso artistico, e che fa di quella stessa ricerca ‘bagaglio’ per chiunque desideri addentrarsi in una metodologia di lavoro teatrale stimolante, capace di attingere ai luoghi e alle persone facendone tesoro. 

Copertina del volume “Stracci della memoria”, edito da CUE Press (2018)

Stracci della memoria, oltre a essere una sorta di autobiografia corale, nonché un utilissimo manuale di teatro adatto a tutti, è anche una sorta di diario di viaggio, o meglio, di tanti viaggi, sensazionali; come suggerisce il titolo, costituisce la densa testimonianza a più voci, e da attraversare liberamente, di un laboratorio teatrale “permanente” in dialogo costante con le culture. Il metodo degli Instabili Vaganti si muove, infatti – grotowskianamente – dal particolare all’universale, dall’individuo e dai suoi ricordi per arrivare a esplorare l’uomo e gli archetipi che lo hanno formato, quasi come per isolarne il senso e trasmetterlo secondo una visione poetica personale. Seguono, come fanno gli antropologi, delle tracce che fanno porre delle domande senza già conoscere le risposte. Compiono sul corpo e dentro il corpo un lavoro d’indagine profondo, che si arricchisce man mano, con l’esperienza sul campo. 

Dalla sintesi di questo approccio, il linguaggio teatrale della compagnia si fa curiosamente astratto e limpido insieme; non didascalico ma altamente espressivo, in grado di esplorare temi universali senza cedere alla facilità del cliché.

Ne è un esempio Il Canto dell’Assenza che Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola hanno presentato sotto forma di studio il 27 ottobre alla Tenuta Dello Scompiglio a Vorno (LU), in collaborazione con Riccardo Nanni e Alberto Novello JesterN, precedendo la visione della performance di Carolina Balucani, ES. Entrambe le performance sono state esito delle residenze vinte attraverso il bando internazionale rivolto ad artisti specializzati in qualsiasi disciplina – 500 i progetti pervenuti in totale – Della morte e del morire, lanciato dall’Associazione Culturale Dello Scompiglio diretta dalla regista e artista Cecilia Bertoni; accanto alle performance, il 27 ottobre è stato possibile anche accedere alle installazioni in corso, Il lanternista, firmato dal collettivo Gli Impresari (Edoardo Aruta, Marco Di Giuseppe e Rosario Sorbello), che prende in esame il dispositivo della lanterna magica considerata tra gli strumenti precursori del cinema partendo dal soggetto del famoso, tutt’oggi anonimo, affresco del Trionfo della Morte, datato attorno alla metà del XV secolo e conservato a Palermo; Krajany dell’artista trentino Christian Fogarolli, che ha raccolto materiali e documenti reali dall’ospedali psichiatrico di Bohnice a Praga, dove furono trasferiti anche 48 trentini durante la Prima Guerra Mondiale, precedentemente internati nel complesso di Pergine Valsugana (TN); e Columbarium, del messicano Alejandro Gómez de Tuddo, che trascina il pubblico in un’esperienza di ingenua e grottesca inquietudine, dove sono stati riprodotti in una stanza ritratti funerari, su carta fotocopiata in bianco e nero, accompagnati da suoni registrati in diversi cimiteri del mondo, andando a comporre una sorta di claustrofobico cimitero in una stanza di pochi metri quadrati.

“Il Canto dell’Assenza”, residenza alla Tenuta Dello Scompiglio (Vorno, LU). Foto di Anna Dora Dorno

Ne Il Canto dell’Assenza gli Instabili Vaganti traducono l’immaginario del lutto in immagini video e performative, evocando la presenza di un’assenza e le sensazioni procurate a chi resta, secondo una visione europeista. Siamo infatti abituati a percepire la morte di qualcuno che ci era caro come una dolorosa perdita: “il dolore è un meccanismo somatico di protezione. Esso motiva […] a proteggere le zone dolenti, a evitare gli stimoli nocivi, a cercare aiuto” (Milton Erickson, Opere Volume 1, 1982); e mentre “provare dolore può essere considerato un evento del tutto normale e naturale, è una parte dell’esperienza della vita, […] La sofferenza è anche una sensazione interiore legata al nostro mondo emotivo e spirituale e la creiamo noi stessi, è la reazione al dolore provato. […] La sofferenza è l’intima risonanza del dolore, la sua misura soggettiva” (Giovanna Meloni, Il dolore della perdita).
Il dolore è quindi necessario, la sofferenza no, ma si può superare e ridurre grazie all’esperienza della condivisione. In qualche modo è di questa esperienza liberatrice che Il Canto dell’Assenza fa dono allo spettatore, a teatro, luogo deputato alla riflessione e all’ascolto delle emozioni umane, qui inevitabili e universali. Anna Dora Dorno è una donna in abito nero, il colore del lutto; ha un velo di tulle trasparente sul capo, si muove ieraticamente sul palco verso un microfono, mentre il video la mostra anima vagante su una spiaggia, alternando il suo primo piano ai dettagli delle morbide curve del velo ricamato e ondeggiante sull’acqua, elemento con cui si indica la vita, la rinascita, il mutamento irreversibile di una condizione. La sabbia, intesa come polvere, cenere, che ritorna alla cenere, non a caso è altro elemento ricorrente nello spazio simbolico della performance, su cui piombano dei tagli di luce espressionista che separano il tempo della memoria da quello agito. La musica onnipresente conferisce allo spazio fisico e sonoro un’aura solenne, producendo nel dialogo con il visibile una sospensione lirica che Nicola Pianzola restituisce sotto forma di movimenti fluidi, ora lenti, ora rapidi, con azioni fisiche che sono anche ritmiche. C’è la parola in questo studio sul Canto dell’Assenza, una parola mimetica e forse non necessaria; piuttosto che essere incarnata e pronunciata dal vivo, forse andrebbe scorporata, restare su un piano evocativo e poetico – come suggerisce la parola “canto” – o essere addirittura assente, ossequiosa del formalismo delle azioni. C’è anche uno sguardo che grida sincerità negli occhi di Anna Dora. Un ricordo sembra essersi impossessato di lei al punto da sciogliere la sua voce in un lamento, come se l’emozione provata fosse troppo forte da trattenere e avesse bisogno di fuoriuscire, di essere letteralmente “premuta fuori” (lat. exprimĕre). Nella sabbia, che è come la terra, vi fissa dentro un fiore, mentre Pianzola, figura che potrebbe coincidere con un amante o un amico scomparso, si prepara a disperdere quei granelli nell’aria, creando un vortice che fertilizza il terreno su cui saranno impresse le tracce vuote di un passaggio. Perché l’assenza non può essere disgiunta dal concetto di presenza; il concetto di assenza è dipendente dalla presenza che l’avverte. Nicola procede nell’esecuzione di questa azione a tempo di un loop sonoro. «Il suono dell’assenza non è il silenzio – dice Anna Dora – ma la saturazione del ricordo», confermando con le parole quello che i corpi hanno già verbalizzato potentemente, e cioè che l’assenza esprime il suo non esserci più attraverso il confronto con un un passato, con un esserci ancora (Nicola Pianzola), con un qui e ora immaginario, forte e catartico nella sua com-presenza accanto a chi r-esiste.

(Immagine di copertina: “Il Canto dell’Assenza”. Foto di Anna Dora Dorno)



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